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Terremoto del 6 maggio 1976, la mia esperienza in una delle torri del condominio Alpi di piazzale Osoppo a Udine

6 maggio 2016

UDINE - ore 21:00 del 6 maggio 1976 - TERREMOTO IN FRIULI 

(I miei ricordi a distanza di 40 anni)

Mi trovato in cucina quando ho sentito una forte vibrazione sul pavimento. Chiamai mamma che era da qualche parte della casa. Lei, allarmata, mi disse che era stata una scossa di terremoto. Mentre cercavo di raggiungere la porta di uscita, tutto l’appartamento iniziò a muoversi, a dondolare. La sensazione fu di trovarmi in un ambiente fatto di gomma. Le mura si piegavano da un verso e poi dall’altro in direzione nord-sud e sud-nord con un’oscillazione, direi, di circa due o tre metri. Non avendo trovato alcun appiglio, l’unico modo per rimanere in piedi fu quello di aprire le braccia e prendere contatto, a destra e a sinistra, con i muri laterali del corridoio. Tutto appariva paurosamente leggero. Nulla cadeva a terra. I mobili e ogni oggetto seguivano lo spostamento delle mura come fossero incollati. Per me rappresenta ancora un punto interrogativo il fatto che io non sia caduta a terra (sarebbe stato più che normale in considerazione della mia disabilità). In quell’interminabile minuto più che al terremoto, pensai alla fine del mondo. Capivo che da un momento all’altro tutto si sarebbe ribaltato. Pregai, non Dio, ma il mio angelo di papà. E, quando tutto come magia terminò, pensai che gli angeli custodi esistono proprio e sono loro che dobbiamo chiamare quando abbiamo bisogno di aiuto. La mamma, molto razionale, prese le poche cose più importanti e iniziammo a scendere le scale. Dieci piani faticosissimi, Tanto, tanto silenzio. Nessun incontro con altri condomini, ormai erano tutti già scesi. Giunti al piano terra, dopo un’interminabile discesa di una ventina di minuti, mamma ed io ci dividemmo. Lei proseguì per lo scantinato per poi andare nel garage a prender l’auto. Io invece uscii dall’ingresso condominiale con una stampella sola, giacché l’altra la mamma sbadatamente se la era portata con sé. Uscendo dal portone condominiale, la grande gioia di trovarmi all’aperto, sana e salva, finì ben presto. Non avendo il secondo bastone e non avendo qualcosa cui appigliarmi, lo spostamento diventò quasi impossibile. Rimasi quindi lì, sotto il porticato, in attesa che mamma arrivasse dalla rampa del garage e mi venisse a prendere. Più avanti, nell’area verde di via San Daniele, la gente se ne stava a distanza di sicurezza dalle zone condominiali. Pensai che fra tutte quelle persone qualche residente dei palazzi Alpi (le note torri grigie di piazzale Osoppo, fra via San Daniele e via San Vito al Tagliamento), ci doveva pur essere. Qualcuno che mi conosceva e che sapendo dei miei problemi di disabilità mi avrebbe potuto dare una mano. Nulla, nessuno si è mosso. Io, immobile sotto il palazzo, loro, lontani al riparo. Ricordo che all’epoca mamma si vantava di aver trovato alloggio in una zona condominiale di prestigio, dove vivono persone di prestigio: noti dottori, avvocati, politici, onorevoli. Insomma gente friulana che conta. Quell’esperienza di essere stata ignorata si è reiterata nei giorni che seguirono. Nessuno di quelle persone importanti, con tanto di seconde o terze case in ville sicure, si offrì per darmi un momentaneo alloggio. Per settimane, sia dopo la scossa del 6 maggio, sia dopo la scossa del 15 settembre, io e mamma abbiamo dormito e vissuto il quotidiano in auto, nella nostra A 112. Non è stato per niente facile. Da questa triste esperienza posso permettermi di dire “ELISA NON RINGRAZIA E NON DIMENTICA”


***Elisa Colavitti è su Facebook

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